Da quando i container hanno completamente rivoluzionato il traffico delle merci che fino agli anni ’70 venivano stivate in sacchi e casse, anche la logistica marittima è completamente cambiata. Sono arrivate le supernavi capaci di caricare in modo funzionale e organizzato migliaia di contenitori impiegando un quinto del tempo che le navi di vecchia generazione dovevano impegnare per le operazioni di carico e scarico. Tutto è più veloce e più semplice ma anche le navi portacontenitori si sono evolute.

Da quando i container hanno completamente rivoluzionato il traffico delle merci che fino agli anni ’70 venivano stivate in sacchi e casse, anche la logistica marittima è completamente cambiata. Sono arrivate le supernavi capaci di caricare in modo funzionale e organizzato migliaia di contenitori impiegando un quinto del tempo che le navi di vecchia generazione dovevano impegnare per le operazioni di carico e scarico. Tutto è più veloce e più semplice ma anche le navi portacontenitori si sono evolute. Ora sono colossali capolavori di ingegneria e automazione navale: le vecchie navi merci misuravano la loro capacità di carico in tonnellate e stazza.

Le portacontenitori si misurano in TEU, un’unità di misura che raccoglie le dimensioni dei vari contenitori trasportati: fino a ieri la nave portacontainer più grande del mondo è la MOL Triumph, oltre 20mila TEU ma da poco è stata scalzata dalla MSC Gulsun, già collauda costruita in Corea del Sud e capace di 24mila TEU a pieno carico. Un bestione di 400 metri di lunghezza e 65 di altezza. La nave è equipaggiata con un motore di nuovissima generazione da undici cilindri e altri cinque motori integrati.

Un limite di velocità per le navi più grandi

Insomma, le navi consumano, bruciano e ovviamente inquinano: tant’è che da diverso tempo si discute della possibilità di introdurre un “limite di velocità” per le navi cargo non tanto per una questione di sicurezza quanto per ridurre il CO2 nell’aria derivato dalla combustione a pieno regime dei motori. Stando agli studi, l’ultimo dei quali è stato commissionato dalla Seas at Risk e Trasport & Environment, pare che navi più leggere e un po’ più lente potrebbero ridurre considerevolmente, anche del 20% le proprie emissioni. Le navi per altro non producono solo gas serra ma anche il cosiddetto nero di carbonio, il pigmento prodotto dalla combustione incompleta di prodotti petroliferi pesanti che contribuisce enormemente al riscaldamento atmosferico.  È un autentico pulviscolo pesante che risulta particolarmente dannoso soprattutto nei mari più freddi dove queste polveri precipitano sulla neve.

Le navi producono il 3% di CO2 a livello mondiale

Le navi risultano essere anche un elemento di disturbo per la fauna, in particolare i cetacei: sempre più spesso si verificano casi di collisioni tra supernavi. Questi argomenti saranno adesso in discussione a Londra nel corso di un Forum organizzato dalle Nazioni Unite nel corso del quale si discuterà di potenza, rotte e velocità. Oggi l’80% delle viene trasportata in container su navi transoceaniche che nel complesso producono il 3% del gas serra… quasi quanto la Germania. Diversa invece la questione che riguarda “le pulizie” che le navi si concedono in modo assolutamente proibito in mare aperto: è purtroppo frequente l’abitudine di alcuni comandanti di lavare cisterne, pozzi e sentine con l’acqua di mare scaricando liquami in mare. Qualche anno fa era stata lanciata l’idea di tracciare le navi che si rendevano protagoniste di questo genere di episodi incresciosi ma il fatto che tutto accada in acque internazionali e che di conseguenza sia difficile trovare l’autorità necessaria a perseguire i responsabili.

Meno navi carretta sul mare, ma tante supernavi troppo veloci

La regolamentazione delle merci ha fatto notevoli progressi soprattutto per prevenire la pirateria internazionale e il traffico di droga, di armi e purtroppo anche di esseri umani. Anche sul controllo ai mezzi c’è stato un notevolissimo giro di vite che ha considerevolmente ridotto il traffico delle cosiddette navi carretta che tra anni ’70 e ’80 erano diventate un pericolo per il proprio personale viaggiante e per le altre imbarcazioni. Ce ne sono ancora tante in giro, ma basta che attracchino in un porto più attento di altri e la possibilità che possano rimettersi in mare aperto sono pari a zero. Ora si tratta di capire se davvero è possibile chiedere anche agli armatori di rallentare, di ridurre il gas delle proprie navi per dare un contributo sostanziale al rallentamento del riscaldamento globale.

ainer hanno completamente rivoluzionato il traffico delle merci che fino agli anni ’70 venivano stivate in sacchi e casse, anche la logistica marittima è completamente cambiata. Sono arrivate le supernavi capaci di caricare in modo funzionale e organizzato migliaia di contenitori impiegando un quinto del tempo che le navi di vecchia generazione dovevano impegnare per le operazioni di carico e scarico. Tutto è più veloce e più semplice ma anche le navi portacontenitori si sono evolute.

Ora sono colossali capolavori di ingegneria e automazione navale: le vecchie navi merci misuravano la loro capacità di carico in tonnellate e stazza. Le portacontenitori si misurano in TEU, un’unità di misura che raccoglie le dimensioni dei vari contenitori trasportati: fino a ieri la nave portacontainer più grande del mondo è la MOL Triumph, oltre 20mila TEU ma da poco è stata scalzata dalla MSC Gulsun, già collauda costruita in Corea del Sud e capace di 24mila TEU a pieno carico. Un bestione di 400 metri di lunghezza e 65 di altezza. La nave è equipaggiata con un motore di nuovissima generazione da undici cilindri e altri cinque motori integrati.

Un limite di velocità per le navi più grandi

Insomma, le navi consumano, bruciano e ovviamente inquinano: tant’è che da diverso tempo si discute della possibilità di introdurre un “limite di velocità” per le navi cargo non tanto per una questione di sicurezza quanto per ridurre il CO2 nell’aria derivato dalla combustione a pieno regime dei motori. Stando agli studi, l’ultimo dei quali è stato commissionato dalla Seas at Risk e Trasport & Environment, pare che navi più leggere e un po’ più lente potrebbero ridurre considerevolmente, anche del 20% le proprie emissioni. Le navi per altro non producono solo gas serra ma anche il cosiddetto nero di carbonio, il pigmento prodotto dalla combustione incompleta di prodotti petroliferi pesanti che contribuisce enormemente al riscaldamento atmosferico.  È un autentico pulviscolo pesante che risulta particolarmente dannoso soprattutto nei mari più freddi dove queste polveri precipitano sulla neve.

Le navi producono il 3% di CO2 a livello mondiale

Le navi risultano essere anche un elemento di disturbo per la fauna, in particolare i cetacei: sempre più spesso si verificano casi di collisioni tra supernavi. Questi argomenti saranno adesso in discussione a Londra nel corso di un Forum organizzato dalle Nazioni Unite nel corso del quale si discuterà di potenza, rotte e velocità. Oggi l’80% delle viene trasportata in container su navi transoceaniche che nel complesso producono il 3% del gas serra… quasi quanto la Germania. Diversa invece la questione che riguarda “le pulizie” che le navi si concedono in modo assolutamente proibito in mare aperto: è purtroppo frequente l’abitudine di alcuni comandanti di lavare cisterne, pozzi e sentine con l’acqua di mare scaricando liquami in mare. Qualche anno fa era stata lanciata l’idea di tracciare le navi che si rendevano protagoniste di questo genere di episodi incresciosi ma il fatto che tutto accada in acque internazionali e che di conseguenza sia difficile trovare l’autorità necessaria a perseguire i responsabili.

Meno navi carretta sul mare, ma tante supernavi troppo veloci

La regolamentazione delle merci ha fatto notevoli progressi soprattutto per prevenire la pirateria internazionale e il traffico di droga, di armi e purtroppo anche di esseri umani. Anche sul controllo ai mezzi c’è stato un notevolissimo giro di vite che ha considerevolmente ridotto il traffico delle cosiddette navi carretta che tra anni ’70 e ’80 erano diventate un pericolo per il proprio personale viaggiante e per le altre imbarcazioni. Ce ne sono ancora tante in giro, ma basta che attracchino in un porto più attento di altri e la possibilità che possano rimettersi in mare aperto sono pari a zero. Ora si tratta di capire se davvero è possibile chiedere anche agli armatori di rallentare, di ridurre il gas delle proprie navi per dare un contributo sostanziale al rallentamento del riscaldamento globale.