Rosignano, in Toscana, provincia di Livorno, è famosa per alcune cose: è qui che si interrompe la corsa dell’autostrada che dovrebbe collegare Genova a Roma, e che non è mai stata collegata definitivamente. Da Rosignano fino quasi a Civitavecchia c’è solo l’Aurelia, per alcuni tratti addirittura a due sole corsie.

È stata anche una delle prime location marittime della storia italiana: gli etruschi e i romani l’hanno sfruttata per le spiagge e per la pesca. Più a buon mercato della vicina Versilia è stata popolarissima come destinazione balneare per molti anni fin dai primi del ‘900. Ma soprattutto è la principale sede industriale del colosso belga Solvay che a Rosignano ha il suo principale stabilimento: Ernest Solvay in persona lo progettò e aprì nel 1863 per produrre soda. Da allora la Solvay si è ampliata molto, è diventata una multinazionale che in Italia occupa 26mila addetti.

Quelle spiagge bianche nate dalla soda

Della Solvay di Rosignano si sono spesso occupate anche le cronache per via della sua attività industriale: in Piemonte è in corso un processo che in secondo grado di giudizio ha visto l’azienda condannata per l’inquinamento da PFAS, acidi perfluoroalchiliche. La località toscana vive un curioso paradosso: gli scarichi della fabbrica, già dai primi anni ’40, hanno lasciato sulla sabbia una coltre biancastra indubbiamente suggestiva. Chi non può andare alle Maldive si accontenta di queste spiagge bianche senza magari sapere che si tratta di una delle 15 località marittime più inquinate d’Italia.

Perché oltre a quella coltre bianca che viene definita calcare cotto, un residuo della produzione della soda, e del bicarbonato, la Solvay ha scaricato ben altro. Eppure, qui sono state assegnate a più riprese anche le bandiere blu che premiano solo le località turistiche più pulite, sane e qualitative. Contrasti elementari e forti come quelle spiagge bianche che non hanno niente a che fare con questo lungo tratto di costa toscana.

La Solvay e Rosignano: un binomio inscindibile

Già nel corso del ventennio si sapeva che la produzione della Solvay potesse essere fortemente dannosa: ma il regime si accordò con l’industria che cominciò a costruire ferrovia, scuole, ospedale e teatro, strade e interi quartieri creando un vero e proprio villaggio che testimoniava il notevole incremento dell’attività dell’azienda. Nel secondo dopoguerra la Solvay ha cambiato ciclo di produzione ma non le logiche produttive: garantendo occupazione, che era assolutamente fondamentale, finiva per raggiungere un accordo anche di fronte a quanto doveva smaltire e scaricare, quasi sempre in mare.

L’inchiesta di Report sulle spiagge e gli scarichi in mare

Della fabbrica si è occupata la trasmissione di inchiesta giornalistica del TG3 “Report” con Sigfrido Ranucci che ha ricostruito quella che è stata l’attività dell’azienda e quelli che sono stati i quantitativi smaltiti in mare: si parla di 4,18 tonnellate di arsenico, 5,96 tonnellate di cromo, 13 tonnellate di benzene e numerose altre sostanze inquinanti. Tutto è avvenuto con il permesso del governo che ha garantito all’azienda le deroghe necessarie. Se questi volumi non siano pericolosi per la popolazione e i lavoratori non lo si dice; così come non si sa se in effetti i quantitativi sono questi o sono magari anche superiori.

Da quando è iniziata la discussione, e sono ormai almeno una quindicina d’anni, il Parlamento continua a discutere senza trovare una legge o fissare dei parametri e di conseguenza l’azienda si sente libera di organizzare la propria attività industriale come meglio crede. Nel frattempo i toscani vanno a scattare foto e selfie sulla spiaggia bianca di Rosignano, così caratteristica e apparentemente caraibica: ma anche terribilmente inquinata.